Storia di Praga: La Repubblica Ceca comprende le regioni storiche di Moravia e Boemia, sottoposte per quattro secoli al dominio degli Asburgo ed entrate a far parte alla fine della prima guerra mondiale, in seguito al crollo dell’impero austroungarico, della Cecoslovacchia.
Entrata nel 1948 nella sfera d’influenza comunista, la Cecoslovacchia si dotò, dopo i drammatici avvenimenti del 1968 sfociati nell’invasione delle truppe del Patto di Varsavia (vedi Primavera di Praga), di uno statuto federale, con l’organizzazione del paese in due distinte repubbliche (ceca e slovacca) ognuna dotata di un proprio Parlamento (con sedi a Praga e Bratislava).
La Cecoslovacchia uscì dal blocco comunista, immediatamente prima del suo definitivo crollo, tra l’estate del 1989 e la primavera del 1990, attraverso un rapido processo di democratizzazione sostenuto dai paesi occidentali e definito “Rivoluzione di velluto”.
Nel dicembre 1989 vennero infatti nominati il dissidente Václav Havel alla presidenza della federazione e Marian Calfa alla guida di un governo di transizione.
Nei due anni seguenti, all’interno del governo federale crebbe il conflitto tra la leadership ceca, risoluta ad attuare una radicale riforma economica e politica dello stato, e quella slovacca, più favorevole a cambiamenti graduali, nel timore che l’introduzione di provvedimenti accentuatamente liberisti potesse provocare un deterioramento della situazione della Slovacchia, meno industrializzata e più dipendente dall’intervento dello stato.
I tentativi dell’Assemblea federale di giungere a un compromesso tra le istituzioni federali e quelle delle due repubbliche non ebbero alcun esito e le elezioni
legislative svoltesi nel giugno 1992 sancirono la profonda spaccatura tra le parti occidentale e orientale della Cecoslovacchia, una schierata con il Partito democratico civico (ODS, nato dal Forum civico di Havel) di Václav Klaus, l’altra con il Movimento per una Slovacchia democratica di Vladimir Mečiar.
In luglio, opponendosi alle riforme economiche sostenute dai cechi nel Parlamento federale, il Parlamento di Bratislava proclamò la sovranità della Repubblica Slovacca.
In novembre, malgrado una forte opposizione nel paese e senza ricorrere a una consultazione referendaria, il Parlamento federale fissò al successivo 31 dicembre la fine dello stato nato nel 1918.
La Cecoslovacchia si separò consensualmente il 1° gennaio 1993 nelle due entità statali di Repubblica Slovacca e Repubblica Ceca. Alla fine dello stesso mese Havel fu eletto alla presidenza della Repubblica Ceca e Klaus diventò capo del governo.
La Repubblica Ceca proseguì nella politica di liberalizzazione del mercato iniziata dalla Cecoslovacchia – non senza creare conflitti all’interno della società – e ottenne l’associazione del paese all’Unione Europea.
Vaclav Havel
All’inizio del 1994 il governo di Praga firmò un accordo di pace con i paesi occidentali, atto preparatorio all’ingresso del paese nell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (NATO).
Le elezioni legislative del 1996 videro prevalere, seppure di poco, il Partito civico democratico (ODS) di Klaus sul Partito socialdemocratico (CSSD) di Miloś Zeman; Klaus assunse la guida di un governo minoritario di coalizione. Nel gennaio 1997 i governi ceco e tedesco firmarono una dichiarazione di scuse per gli arbitri commessi dai due paesi durante la seconda guerra mondiale.
Curiosità:
Durante uno scavo condotto a Praga, nella Repubblica Ceca, gli archeologi hanno rinvenuto quelli che potrebbero essere i più antichi resti ritrovati di un maschio omosessuale.
La conclusione che i resti possano appartenere a una persona gay si basano sul modo in cui l’uomo fu sepolto e in cui è stato ritrovato: il corpo, appartenente a un individuo di sesso maschile vissuto 2.500-2.900 anni fa, è stato sepolto secondo alcune modalità normalmente riservate alle donne della cosiddetta “Cultura della ceramica cordata”, che caratterizza buona parte dell’Europa settentrionale dal neolitico agli inizi dell’Età del Bronzo: era cioè deposto sul suo lato sinistro, e con la testa rivolta a Oriente.
“Stiamo valutando varie interpretazioni, e fra queste che l’individuo appartenesse a un terzo genere, non fosse cioè considerato né uomo né donna secondo il senso comune”, dice l’archeologa Kamila Remišová Vašínová della Società Archeologica Ceca.
“Di certo sappiamo che aveva un ruolo speciale all’interno della sua comunità”.
Praga è ora stata dichiarata Città Rosa
Ma quando è nata l’Europa, o meglio il concetto d’Europa? Non nell’alto medioevo e tanto meno al tempo di Carlo Magno, per molti padre della patria europea. Nel corso dei secoli precedenti all’XI, fra Inghilterra e Sicilia, fra Boemia e penisola iberica nulla portava a riconoscere tratti comuni. Anche nell’ambito di regioni ugualmente convertitesi al cristianesimo, gli elementi di distanza (culturale, sociale, politica, linguistica) erano di gran lunga maggiori rispetto a quelli comuni.
Per contro, è opinione di molti storici che il periodo altomedievale non avrebbe fatto altro che raccogliere l’eredità di Roma, in una linea di continuità priva di brusche interruzioni con il tardoantico. Romàioi (in greco, letteralmente, «romani») erano d’altronde coloro che abitavano le terre soggette all’impero bizantino, che tanto gli europei occidentali quanto gli arabi chiameranno appunto così (Romània nel latino medievale, da cui anche i termini che in italiano indicano la «Romanìa» e la «Romagna»; e Rum in arabo). Nei secoli altomedievali, i rapporti fra Bisanzio e l’Europa latino-germanica furono altalenanti.
Un grave momento di rottura si ebbe verso la metà dell’XI secolo, quando Roma, dall’intesa con i bizantini contro i normanni italomeridionali, che all’epoca minacciavano militarmente la stessa Costantinopoli, cambiò alleanza passando dalla parte dei normanni. Su tale sfondo politico nel 1054 si consumò lo scisma fra le due Chiese, che ebbe come motivazione ufficiale una questione teologica (la disputa sul filioque) e, soprattutto, il fatto che ormai a Occidente si andava elaborando la dottrina del «primato di Pietro», cioè del vescovo di Roma, sulle altre sedi patriarcali (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme) e quindi della sua egemonia sull’intera Chiesa, mentre i bizantini si mantenevano fedeli alla tesi d’una Chiesa conciliarmente guidata dai vescovi e strettamente controllata dal loro imperatore.
Secondo i «continuisti», la «caduta dell’impero d’Occidente» (come ordinariamente si usa chiamarla) non mutò granché delle effettive strutture profonde del mondo antico e poco incise sulle stesse istituzioni periferiche e municipalistiche, le quali sopravvissero più o meno a lungo e in molti casi — come nella penisola italica o nella Gallia del sud-est, la Provenza (dal latino Provincia) -, più che propriamente scomparire, andarono facendosi gradualmente meno visibili, ma si modificarono e restarono in qualche modo in vita fin a «risorgere» fra IX e X secolo: e tornano qui le contrapposte tesi della «continuità» e della «discontinuità-rottura». Secondo tale interpretazione, si può dire che quella del 476 in Occidente sarebbe stata – come l’ha definita un grande storico dell’antichità, Arnaldo Momigliano – «una caduta senza rumore».
Le storie onnicomprensive dei secoli alto medievali (quelli che una parte della storiografia anglosassone indica ancora come Dark Ages) non sono molte, e soprattutto non sono recenti. Ecco allora che la sua Storia d’Europa dal 400 al 1000 riempie questo vuoto, e lo fa prendendo in considerazione in modo dettagliato, tanto in senso spaziale quanto in modo cronologico, gli scenari di quell’epoca. I territori della pars Occidentis dell’impero e le loro mutazioni post 476, il Mediterraneo bizantino, l’Europa musulmana, l’età carolingia e post-carolingia.
In ognuno di questi ambiti spazio-temporali si analizzano le tendenze della storiografia, mai però a discapito di una narrazione adatta anche ai non specialisti; così come l’ampia bibliografia di fonti e studi è uno stimolo, mai una barriera. Dalla lettura de L’eredità di Roma si esce dunque più informati e più aggiornati su un periodo tra i meno noti e considerati della storia di ciò che c’era prima (rifiutando Wickham l’idea di «radici») dell’Europa.