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Nel lungo ponte tra Pasqua e primo maggio, i turisti hanno preso d’assalto Praga. La movida conquista la città di Kafka. Per visitare il cimitero ebraico si fa la coda per un paio d’ore. Le lapidi sono linde, ai tempi del Muro erano coperte di muschio, e regnava il silenzio. Eppure, i céchi si lamentano. «Sono il popolo più scettico d’Europa», dice Günter Verheugen, ex commissario all’Industria.

Quasi tutti i partiti fanno propaganda contro Bruxelles, ma finiranno per prevalere gli astenuti. Dieci anni fa si rischiò la sollevazione popolare perché i burocrati dell’Ue osarono ordinare come va preparato il gulasch: andrebbe servito entro quattro ore, a Praga lasciano macerare la carne tre giorni. All’ingresso dei ristoranti gli osti esposero il cartello: «Ingresso vietato ai politici europei».

L’ex presidente Klaus si vanta di avere votato «no» al referendum per l’ingresso in Europa. Oggi, tutti si battono contro l’euro. Karel Havlicek, capo della media e piccola industria, è dubbioso: «L’addio alla corona non è all’ordine del giorno, ma la nostra valuta non sarebbe in grado di sostenere una speculazione internazionale, la nostra Banca Centrale fallirebbe in un paio di giorni».

L’ECONOMIA è calata dello 0,9 l’anno scorso, nel 2014 dovrebbe crescere dell’1,4, ma 630mila sono alla ricerca di un’occupazione, 43mila in più. Il tasso di disoccupazione è dell’8,6 per cento, i giovani sono un quinto dei disoccupati. Eppure nessun céco vorrebbe prendere il posto degli immigrati ucraini che svolgono le attività più pesanti nell’edilizia, e le ragazze non si siederebbero mai alla cassa di un supermarket.

Le cassiere vengono quasi tutte dalla vicina Slovacchia. Colpa di Bruxelles? Il governo non sembra in grado di sfruttare in pieno gli aiuti comunitari, e in molti settori si va avanti grazie alla partecipazione delle imprese tedesche. Si borbotta, ma non si eccede nella protesta. Il primo sabato di maggio a Brünn, Tomas Vandas, il leader del movimento di estrema destra Dsss, ha parlato davanti a dieci persone. 

LO SLOVACCO Vladimir Meciar e il suo collega céco Vaclav Klaus decisero la spartizione della Cecoslovacchia il 28 agosto 1992. Repubblica Céca e Slovacchia nacquero ufficialmente il primo gennaio successivo, senza nessun referendum popolare, pacificamente. E nessuno al mondo protestò. L’autodeterminazione dei popoli va rispettata, a seconda se ci conviene.

Piuttosto, i soliti esperti previdero il fallimento della Slovacchia che non sembrava all’altezza economica delle regioni guidate da Praga. Le industrie principali erano rimaste dall’altra parte. Meciar condusse il paese a destra, creando un regime autoritario.

Nel 1998, l’allora segretario di Stato Usa Madeleine Albright definì la Slovacchia «il buco nero d´Europa». Madeleine, bisogna ricordarlo, era nata dalla parte céca. Breslavia fu messa in coda tra i paesi che entrarono nella Ue nel 2004, poi lo stesso anno fu accolta nella Nato. Gli slovacchi continuano a tradire un complesso di inferiorità verso i céchi, forse per questo hanno voluto a tutti i costi l’euro, mentre a Praga conservano le corone. In Slovacchia il reddito medio è sempre del venti per cento inferiore a quello dei céchi, un distacco costante nonostante l’aumento della produzione.

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